Non rinuncio a te per un pipistrello (Ovvero diario del virus) di Paolo Puppa

NON RINUNCIO A TE PER UN PIPISTRELLO

OVVERO DIARIO DEL VIRUS

di Paolo Puppa

 

 

 

Ehi voi. Gente, Ehi sììì. dico a voi. Son proprio contento/con­tenta/contenti. Sìììì, perché ieri ho visto la paura addosso alla moglie del canadese, già, del Presidente. E poi in un grande albergo a cinque stelle australiano ho spiato il terrore sul muso invecchiato e senza trucco  dell’attore americano famoso, ma sì, quello che faceva lo scemo, quello che correva sempre. Io per i nomi sono un disastro. E anche su sua moglie. Un metro di distanza e lavatevi le mani raccomandano i prof di medicina. Che ridere. Marito e moglie che fanno in una stanza d’albergo, anche se hanno poca voglia dopo tanti anni? I piccioncini. Eh, eh, e adesso ve la fate sotto, o no? Non guardo in faccia a nessuno, io.  E poi quello che mi esalta è il fatto che il sottoscritto/a/i mi sposto dal Canada all’Australia e senza faticare. Pensano a  tutto loro. Sono loro che mi portano. Uno scaracchio, un fiato, una monetina di resto, un carciofo al mercato toccato senza guanto. E questo è solo l’inizio, ragazzi. Vedrete, vedrete fra poco. Che meravigliaaaaaa, le strade vuote! E questo silenzio così serio! Ci sono solo io ormai a dettar legge. Non fanno che parlare di me a sproposito. E più sono famosi e sicuri di sé, più ci ho gusto. Mi spiace un po’ per i vecchi. Non c’è gusto con loro. Sono già predisposti. Colle valigie pronte. No, no, vorrei poterli evitare. Ma come si fa? Basta un niente e quelli mi cascano subito. Potessi decidere, però, i capelli bianchi, le dentiere, e il resto, starei alla larga da questa povera gente. E invece mi aprono, che dico aprono, mi spalancano la porta di casa. Vorrei spiegare loro che punto più in alto,  io. Voglio capi, io, voglio  corone, ah, ah! Bella questa battuta, no? Ho una lista, ma una lista. Vedrete, vedrete, cari miei. Che roba, che roba! E tutte le sere poi mi citano e parlano di me, di me. E danno i numeri, eh, eh. La curva. Il picco? Quando il picco? Hai voglia! Non ho nessuna intenzione di arrivare presto al picco io. Mi spalmo, mi spalmo, mi allungo. Vedrete, vedrete. Dalla caverna col piccolo pipistrello, alla cucina dello chef cinese, e poi il commerciante lombardo, o era veneto? Non mi ricordo più bene. Confini aperti, no chiusi, sbarrati, grandi stadi con o senza pubblico?  Cambiano idea più volte, che buffi! Ma ho cominciato a muovermi, e non c’è niente da fare. Ci sarebbe una maniera per fermarmi, una sola. Ma non sta nei laboratori, mica vengo a dirvela a voi. Manco per scherzo.

Il momento più divertente, credetemi, è la sera quando vi riunite davanti alle scatolette che mandano luce, il piccolo schermo che sembra l’altare dove pregate sempre più spesso da qualche giorno, eh, eh. Vi comunicano infatti i numeri in modo così serio che mi metto subito a sghignazzare. Voi ve ne state in silenzio religioso, la mammina col mestolo in alto, e il piatto fumante nell’altra mano, i bambini che non capiscono la ragione di quel rallentamento, il pappino colle rughe sulla fronte che zittisce i pargoli. Sembrate davvero come nelle case col soffitto alto che chiamate chiese. E vi trasmettono pure le curve colla proiezione. E gongolate, ma che cretini, se l’aumento in qualche città rallenta. Ma a me piace cambiare, ragazzi. Il fatto è che mi stanco presto a starmene nello stesso posto. Tutto qua. Nessuna logica, nessun ordine. Per carità. Ci mancherebbe altro. State diventando all’improvviso più buoni. Non vi odiate più. Uniti contro di me. Che bello! Che eccitante. Fate fate. Prego. Fate pure. Accomodatevi. Nessun problema per me. Tranquilli. Una cosa mi sorprende molto. Devo dirvelo. Il vostro cattivo rapporto col tempo. Non sapete vederlo nel suo insieme, il tempo. Mi spiego. E’ solo questione di attesa. Anche se qualcuno di voi la fa franca, al momento, perché decido di lasciarlo, perché fingo di cedere ad una pulizia più sistematica nella sua abitazione, o a una mascherina meglio sistemata sul muso, questo chiamiamolo pure scampato alla mia strage tra qualche anno dovrà sempre andarsene coi suoi stracci. Cosa cambia tra adesso o fra dieci anni? Eh? Eh? Un’alternativa a me che avrebbe senso sarebbe solo l’eternità. Che non esiste! O no? Chiaro?  Si parteeee, ragazzi! Tutti a bordo!

Forse la vera goduria è quando mi intrufolo nella vostra bocca e mi tuffo nelle sacche che chiamate mi pare polmoni. Me ne sto là un po’ tranquillo/a, e poi per rinfrescarmi un po’ mi faccio un bel bagnetto. Sìììì, riempio d’acqua che è una meraviglia e faccio pure le bolle quando cominciate a tirar su il fiato e faticate a respirare. E così vado su e giù, come sull’ottovolante. Non avete idea. Poi, quando capisco, dall’assenza del movimento che il mio gentile ospitante ha deciso di fare i bagagli allora me ne esco fuori e cambio residenza, diciamo. Ma siamo in tanti/e e ci moltiplichiamo come cavallette. Altro che meteoriti, altro che bomba nucleare. Ci vuole così poco per farvi sparire. Basta un po’ di fantasia. Però, lo confesso, sarà dura restare senza i vostri canti finto allegri alle finestre di questi giorni, senza le bandierine colorate di arcobaleno, senza le scritte “Ce la faremo”. Quelle poi mi fanno morire (per me in senso metaforico) dal ridere, come le guardie che vi fermano all’uscita dal supermercato per chiedervi il foglietto di autocertificazione, la messinscena del governo e delle forze dell’ordine. Tutto così buffo e così inutile. Vedrete, vedrete. Ce n’è per tutti. Io vi consiglio di preparare bene le valigie. Ficcateci dentro solo l’essenziale. Ficcateci dentro solo l’essenziale, però. Leggeri, leggeri.

Nelle vostre casette, intanto, non fate più su e giù, o molto meno rispetto a un tempo. Tutti invecchiati o tornati bambini. Quelli che si mettono in quarantena vuol dire che lo ripiegano e lo usano solo per spander acqua, non il resto. Vedo che vi si allunga poco l’affare, già. E si abbasseranno così i nuovi nati. Che ridere. Nuovo controllo delle nascite, la paura che vi faccio. Metodo pare molto efficace. Alcuni di voi poi portano anche in casa la mascherina buffa sul muso, e si fanno portare i vassoi col pasto frugale davanti alla porta della loro camera, si vede la loro mano tremolante uscire e il piatto sparire, spandendo un po’ sul pavimento qualche foglia di insalata o una manciatina di pastina del brodo. Dopo un po’ esce quasi intatto. In fondo, ragazzi, dovreste ringraziarmi. Che gran cura dimagrante, disintossicante vi faccio fare a gratis. Peccato davvero sia la fine, perché se cambiassi idea oppure se inventaste quel he so io, ma non son scemo/a/i/e a venirvelo a dire, allora sì che diverreste un’umanità migliore rispetto alla canaglia generale, chi più chi meno, che siete.

Ho migliorato molto, dovete riconoscermelo, anche i cerimoniali del congedo. E la spesa relativa. Ciao, ciao vecchio mio, è la parola giusta, anche se adesso mi sfogo coi più giovani che fanno resistenza e a me mi eccita da sempre la lotta. Ma quando uno o una se ne va, colle sue belle valigie al fianco, nessun parente sta là a far scena, mano nella mano, e poi quel che segue, album coi paramenti e il tipo di legno da scegliere e la spesa e poi la festa triste, e il prete e così via. Macché, molto più semplice, molto più frugale. Su, avanti un altro, letto e macchinari liberi. Avanti signori c’è posto, come sul tram. Tutte le menzogne del salutare poi! Ma che senso ha? Lasciato da me il corpo sta già belle e duro, è una cosa che va solo smaltita. Statevene a casa, piuttosto, a ricordare. Gli amori, mi risulta, funzionano meglio a distanza, e preparatevi piuttosto che adesso tocca a voi. Certo, ho avuto illustri precedenti, sistemi invidiabili per efficacia e precisione, ma rivolti solo contro minoranze, la più parte della maggioranza poco silenziosa e molto applaudente era risparmiata. Dunque, non c’era equità. Avevano risolto solo gli ultimi anni l’enorme problema dello smaltimento dei rifiuti, le pile, gli ammassi di cadaveri, una stanza affollata di nudità sgraziate e ormai smagrite, una chiavetta e via col fumo, ma solo negli ultimi anni. Però c’era ingiustizia e troppa baldanza nei vincitori, o meglio in quelli che si credevano vincitori. Poi è andata come è andata. La Storia io l’ho sempre seguita, dall’inizio alla fine. E io sono più giusto/a/i/e. Con me non c’è differenza di credo. Tutti eguali siete ai miei occhi. Perché, calma calma, non dimentico nessuno io. Anche se, lo ripeto, più sono in alto, più sono boriosi, più è una vera goduria. I politici poi, quelli che vanno a farsi intervistare un giorno sì e l’altro pure, vederli mettersi a letto da soli come cani abbandonati, in una squallida corsia pallida e intasata dal tanfo di medicinali inutili,  lo sguardo perso nell’angoscia, rimorso no, non sanno dove sta il rimorso questa gente, bè che vi debbo dire, per un po’ mi dedico a loro e a voi vi lascio tranquilli. Ma solo per un po’. Non montatevi la testa. Mi raccomando. E comunque, ormai l’ho capito, ho un debole, per i palazzi, e quando vedo guardie del corpo sull’attenti, ai cancelli, perdo un po’ la testa. Insomma, nessuno è perfetto/a/i/ e.

Ma sapete cosa vi dico a questo punto? Che l’avete voluto voi. Sì, cari miei. Ieri sera ho visto spuntar facce dai balconi con un’espressione assurda di speranza, e tutto perché qualche cretino nelle notizie di turno ha accennato, com’è? com’era? Ah sì, accennavano a curve di decrescita nella crescita e parlavano difficile, citavano un certo signor Ossimoro, che io confesso l’ignoranza non so dove abita costui. Non mi è piaciuta per niente questa storia. Sissignori,  mi sono incazzato/a/i/e. Scambiano una mia pausa di riflessione per la mia imminente messa fuori gioco. Ma come si permettono dico io, come si permettono? Così sto pensando di puntare tra qualche giorno, non subito, non subito, con calmaaaa, nessuna fretta. Fra qualche giorno, dunque,  punterò dritto alle banche e alla distribuzione di viveri. Trasformerò le agenzie e i negozi delle grande rivendite in nursery delle mie creature. Tante belle coroncine tonde tonde, coi ciuffetti, i peletti come sembrano nei vostri cannocchiali.  Sììììì, sarà bellissimo. Quando i vostri sudati risparmi, poverini che pena, diverranno carta da giocarci al monopoli, si chiama così vero?, e non potrete attingere più se non ai gioielli E chi non ce li ha? O all’argenteria di casa. E poi quando soprattutto troverete sbarrata la portiera mobile del vostro mercatone all’angolo, e vi spingerete oltre, nonostante divieti e coprifuoco. Perché fra poco vi sparano, lo avete capito che i vostri governanti vi hanno or-di-na-to, non consigliato di rimanere  sul divano col telecomando che vi fa male al polso a furia di premere sui tasti? Vedo già le scene, che mi faranno tornare alla mente i bei momenti vissuti qualche tempo fa, col grattacielo in fumo al di là della grande acqua. Anzi due erano, che pareva un cartone animato, e il volo d’angelo, ma in giù, dai piani più alti, di quelli che non ce la facevano più. E magari li trovavano sul cemento mani intrecciate ma di corpi diversi, che si erano catapultati assieme, come fosse nelle piscine. Ah che gusto ci ho. Anche voi, carini, fra qualche giorno. Voglio vedere i più nervosi, i depressi, quelli che non reggono alla tensione, quelli che danno inizio alle danze. Guardando col nasco schiacciato sul vetro, una delle vostre ragazze, la più inquieta e curiosa, griderà tanto per  aumentare il panico: “Mammaaaaa, vieni qua. Guarda quel matto! Ma che fa! Oddio, mammaaaaa, ma si butta, mamma, mamma guarda?”. E sarà solo questione di qualche giorno, perché anche la vostra mammina, colle smorfia dettate  dalle circostanze, l’occhio tutto bello dilatato e senza più rimmel,  stringendosi in seno il più piccolo che pure scalcia, tuffete, ohe che  stile! Quello là secondo me è un triplo salto mortale, eh, eh,  e mezzo indietro raggruppato, si dice così? Che il linguaggio sportivo non è mai stato il mio forte. Il bello è quando nelle vostre scatolette qualche guitto se ne viene fuori e ripete “Andrà tutto bene! Andrà tutto bene”. Ma certoooo, sicuro. Come no! E invece hanno ragione quelli tra voi che hanno gli occhi stanchi, la pressione alta, che faticano ad alzarsi dal letto, insomma o depressi. Sono loro, ragazzi, che hanno capito tutto. Loro, sì.

Bene, bene! Dunque dicevamo. Non fatemi perdere il filo. Non fatemi arrabbiare che non è il caso. Ma ieri è bastato che sbadigliassi, che la mia coroncina si allargasse un po’ quasi a mettere su qualche petalo, e la sera che meraviglia! Sui balconi si sono interrotte le canzoncine, gli Azzurro, Fratelli, Bella ciao (già poche di suo), e la voce grave dello speaker al tg delle 19 recitava il numero dei partiti con valigia, oltre seicento, mai tanti come ieri. Altro che picco, altro che decrescita nella crescita. Qui gli algoritmi stanno franando  i calcoli, tutto, tutto salta. Esperti tossiscono con imbarazzo, prima di parlare e di aggiornare le nuove previsioni. Adesso accusano l’inquinamento. Qualche inguaribile ottimista si azzarda a commentare: “tranquilli, sono lati al periodo prima delle restrizioni. Adesso mandano l’esercito per le strade. E in America, io vedo tutto dall’alto, già, nella terra del Presidente bullo che accusa i cinesi e il commercio degli animali selvaggi, che ridere!, ci sono file più lunghe davanti ai negozi di armi che nei supermercati. Si eliminano tra di loro. Fuori dal mio giardino, bum bum. Mi sveltiscono il lavoro, così. Sento anche il suono dei rosari su qualche canale priva, e i condomini che rispondono con un triste coro. Meglio questo, decisamente, che Sanremo. Almeno i viaggiatori si preparano meglio. E questo Papa tanto discusso se ne va zoppicando, che sembra l’orsetto al luna park, verso qualche Chiesa, attraversando strade deserta, scortato da assonnate guardie del corpo, fa persino pena. La domenica all’Angelus sporge la schiena piena di artrosi verso la piazza silenziosa e fredda, immagine eloquente. Ma Santità, come la chiamano? Santità vero? Pensa davvero che le sue preghiere a questo Dio riesca a fermarmi? Non c’è più salvezza, non c’è mai salvezza in questa vita. Piuttosto aprite la vostra Bibbia, e rileggete o leggete se non l’avete mai fatto prima i passi dell’Apocalisse. Lingua po’ retorica, immagini di bestie e di simboli astrusi, ma il significato di catastrofe si respira bene, Senza eufemismi o preamboli Là, ve lo spiattellano sul muso, che non potete sbagliarvi. E i camion scuri colle loro bare solitarie dentro, senza uno straccio di funerale, di cerimonia coi parenti e gli amici di turno e i curiosi a spire il dolore degli altri e a far prove generali del proprio, i camion sììì avviati verso le fiamme, come smaltire i rifiuti giààà, che spettacolo ragazzi! Meglio di un film. Nessun suono se non sullo sfondo qualche sirena di inutili ambulanze. Questo è tutto per oggi.

Lavoro per lo più di notte, come il mio babbo/mamma mi ha insegnato, il pipistrello che va a sbattere colle ali sulle pareti umide delle grandi caverne. Di giorno un po’ mi riposo nelle grandi vasche dei miei ospitanti. E mie la spasso ascoltando la scatoletta sempre accesa che manda le sacre notizie. Già. Ieri  ho registrato un altro contatto con un vip, come li chiamano qua. Un re, perfino, che parla francese, e sta su un mare troppo azzurro che pare una cartolina. Pelato con pancetta. Il suo unico merito mi dicono sia la bella madre famosa, che faceva l’attrice dall’altra parte del mondo e che qua è morta guidando l’auto su una collinetta. Le guardo bene le mie vittime per scegliere quelle che mi eccitano. Portano capelli lunghi per lo più, anche quelli coll’affare tra le gambe e non il buco. E queste ultime paiono scompigliate, uscite dal letto senza trucco. Del resto, sono chiusi i barbieri, i parrucchieri, gli acconciatori. Quanti nomi inventano per toglierti il pelo.  E anche mi sa che si lavano poco. Tanto i contatti sono sconsigliati e allora perché tenersi in forma? Insomma, sono degli zombies, pronti a portare più che il carrello le loro brave valigie per il viaggio imminente. Ma per quello c’è tempo. Devo centellinare il mio piacere, adelante con juicio come dicono a ovest del paese. Anche là i miei fratelli/sorelle si stanno dando da fare. E molto. Ormai è una gara tra loro. Ma qua, non so bene perché, c’è più gusto. Sarà che si danno importanza. Sono pieni di rovine storiche, il loro paesaggio è un monumento che non finisce mai. O meglio sta là a significare appunto che ad un certo punto ogni civiltà finisce. E restano solo macerie, poche tracce tra l’erba che continua imperterrita a crescere. Questi qua invece si credono eterni, col loro bravo medico curante sotto casa Che ridere, ragazzi!

Sicuri, proprio sicuri siete? Come? Ah starebbe girando la ruota? Senti senti che discorsi! Ah sì, d’accordo. Stasera  state esultando o sbaglio? Già, già. Un leggero calo, l’algoritmo segna la curva che ai abbassa? Ma che bravi! Anche matematici adesso? Divieti di circolazione, niente corsette se non a duecento metri sotto casa, niente coppiette a fare la spesa. Ma singoli, rigorosamente singoli, strade deserte, che pare la luna. E soprattutto, stop alle partire, stadi vuoti, che per me devo ammetterlo, tutti quei corpi sudati, pieni di birra, e quell’abbracciarsi se la palla entra nella rete della squadra ospite. Sì, devo ammetterlo, mi mancano quelle folle. Erano orge per me. Mi portavo avanti il lavoro. Adesso sono convinti di avermi fatto terra bruciata. Poveretti. Una pena. Vedrete, vedrete, cari miei. Voglio guardarvi bene negli occhi quando la voce incupita del cronista dovrà pure informarvi una delle prossime sere cos’è cosa non è ma la linea tende di nuovo a salire. E allora come la mettiamo? Eh, eh? Chi mi sa rispondere? Avete per caso mai visto un gatto che gioca col topo prima di finirlo? Ecco, forse l’immagine rende. E in ogni caso, mettiamo pure che mi stancassi all’improvviso di questa strage, che non ci trovassi più gusto, ma non succederà. Lo dico solo per pura ipotesi. Se mi venisse nostalgia ad un tratto del fresco della mia grotta e del frullo d’ali dei miei pipistrelli, se me ne volassi laggiù, voi, voi non dovreste esultare, mettervi a sbraitare alle finestre, correre per strada singhiozzando di gioia e cercandovi per toccare, abbracciare, copulare come matti chi può permetterselo. Insomma, come aveste vinto la guerra. Perché, velo ripeto ancora una volta, non c’è niente da esultare. E’ solo questione di tempo. Tanto dovete tutti morire. E allora perché questo terrore ora e perché un domani questa ridicola euforia? Eh, eh?

Che poi, se in caso, e ripeto se in caso, è solo un’ipotesi o meglio una tentazione, ma certo comincio a stancarmi di questa recita, di questo bailamme, di queste vasche sozze e maleodoranti dove faccio il bagno, che in confronto la mia caverna è un albergo a cinque stelle, ma mettiamo pure che   voglia andare anch’io un po’ in vacanza, ehi à calma, son due mesi ormai che è tutto un entra ed esci, mai fermo/a/i/e un giorno, salvo tornare perché ritorno di certo, diciamo ok che mi prendo un sabbatico come dicono quelli là collo zuccotto o i ricciolini neri e pendenti, mi sa che alcuni di voi mi rimpiangono. Perché ho imparato a conoscervi. C’è gente che ha imparato ad apprezzarmi. Certe signore avvilite di vedersi il marito zampettare sempre fuori colla minima scusa, adesso sta gongolando perché e lo può godere. Certi ragazzi che stavano avviliti perché fuori dal giro dei compagni, mai invitati o presi in giro, o i bambini che possono dedicarsi a tempo pieno ai loro giochini che ci capisco poco, a base di ammazzamenti e di bombe, che sembrano volermi rubare il mestiere. Già. Le loro madri hanno altro per la testa che volerli in giro inquieti a chiedere £cosa si fa adesso?”. O anche quelli più cupi e arrabbiati col mondo che non tollerano il minimo rumore ora respirano volentieri e di notte si addormentano grati davanti al grande silenzio che incombe dalla strada. E anche i ladri mi sa che stanno più cauti a guardare dall’alto la città, come fossi su un drone, non vedrei male intenzionati arrampicarsi lungo i cancelli fin su i tetti. Insomma, c’è più onestà in giro, più rispetto per la proprietà privata. Ma nessuno a me mi ringrazia, vogliamo scommettere. Sono tanti che mi invocheranno se dovessi, dico s dovessi ma non è ancora detto nossignori girarmene un po‘ al largo. Vi mancherò, mi sa, ragazzi. Vero che è così? Ma dopo non vorrei essere voi. Lascio dietro di me una crisi che neanche al tempo delle invasioni barbariche. Ci vorrà molta ma molta fantasia per immaginare il disastro. E non sto mica esagerando.

Ebbene, sì lo confesso ragazzi, sono un po’ confuso. Il fatto è che non mi diverto più come agli inizi. I miei fratelli/ sorelle, ovvero Il/le/i/le si danno da fare e mi vengono dietro con entusiasmo e convinzione, tutte le motivazioni intatte, nessuna passione spenta. Seguono il mio operato ma non mi vedono dentro come sto. Passo ormai ore e ore in queste vasche ripugnanti, con catarri che mi insozzano, e non posso mica rilassarmi, considerarlo un bagnetto questo stato, perché adesso là fuori son diventati igienisti tutt’ a un tratto, e in men che non te l’aspetti rischi di trovarti dentro un’urna mescolato alla polvere di questi ingombri che devono solo essere smaltiti, e se non balzo fuori appena in tempo, buona notte ai sognatori. I miei petali morbidi che si muovono ad ogni soffio, come piccoli fiori di campo, sfiorati con gentilezza da piccoli insetti, non ho intenzione di lasciarli bruciare. Ma il rischio è questo. Appena le onde cessano, appena il respiro dei miei ospitanti cessa, corrono a sprangare tutto, a ficcarmi nei camion silenziosi e scuri, a metter chiodi in bare di poco prezzo, insomma non è un bel vedere. Una condizione stressante. Potrei lasciare a chi dirige il traffico al di là del grande mare il compito di sovrintendere, e io, e io, allora, che ne sarebbe di me? Potrei acquattarmi in qualche anagrafe bassa, un bambino che odora di latte e borotalco, e andare in vacanza dentro di lui per qualche anno, e lasciar perdere questa battaglia. La chiamo battaglia, è chiaro perché vero? Perché la guerra, quella, la vinciamo io e i miei fratelli/sorelle. E in ogni caso per voi la storia finisce solo in un modo. Basterebbe che aveste una vista lunga, cosa che vi manca, ma questo concetto l’ho già detto. Comincio a ripetermi, colpa di questa incertezza di umore. Intanto i bollettini serali annaspano, ho infettato anche il tecnico incaricato della liturgia, ma le cifre parlano chiaro, la curva si flette di poco, ma scende. Se perdo la voglia, se non trovo più gusto, andate tutti in malora, voi e le vostre canzonette, voi e i vostri messaggini che vi scambiate da una casa all’altra per non pensare, per strapparvi smorfie che vorrebbero essere risate. Ma anch’io non è che me la sto passando proprio bene. Eh già. Qua è tutto un sospiro. Da parte mia, intendo.

Beh, oggi mi sento meglio e riposato. E ho ripreso le danze. Ma sì, cosa ci vuole in fondo? Basta coordinarsi, dare le giuste direttive a lui/lei/loro, mostrarsi decisi e bene intenzionati e lo sfondamento è assicurato. Mi è bastato vedere certe facce gongolanti ieri sera quando il giornalista nella scatoletta ha insistito colle proiezioni che assicuravano una curva in netta discesa, e qualcuno si abbracciava esultando il o la partner e sul letto hanno persino osato toccarsi e fare il su e giù che mi son detto: Ah così? L’avete voluta voi, e insomma forse stavolta ho esagerato, ma quelli colla valigia in mano si sono in un attimo raddoppiati. Voglio vedere adesso coi vostri buffi algoritmi, come li chiamate. Che fine fa la vostra curva, eh? Stanotte sogni brevi e inquieti. D’accordo? Dovreste essere più furbi con me. Più umili e disperati. Ma quelle smorfie di gioia, quello sguardo di liberazione, di uscita dal tunnel, così avete anche mormorato tra voi, e battuto su quelle tastiere che giorno e notte martellate, no, no, quello mi esaspera. Quello mi fa tornare fresco/a/i/e proprio come all’inizio. Sapete insomma cosa vi dico in questo momento? Magari ci siamo. Magari sarebbe meglio che tutti, mocciosi colla goccia al naso, e vecchietti colla flebo e i pannoloni tra le gambe, vi prepariate tutti la vostra bella valigia e non se ne parla più. Questione di un secondo, vi assicuro. E poi questa terra sarà più leggera e tranquilla. E le bestie contente, non tutte ma quelle libere e selvagge sì. E mamma e papi e i tanti zii usciranno dalle caverne, volteggiando nell’aria. Sento giù il frullo delle loro ali. Un vero concerto. Col buio e le stelle, che spettacolo ragazzi. Peccato ve lo perdiate.

Ah, dimenticavo una cosa. Alcuni di voi cominciano ad aprire gli occhi. Siete chiusi nel carcere delle vostre case, tranne i lavoratori nella mansioni irrinunciabili. E dopo giorni e giorni che guardate le strade dalla finestra, che vi lavate nevroticamente le mani ogni cinque minuti, avete capito finalmente che non cambia niente. Che non serve isolarsi, lanciarsi colla manina un patetico ciao sui vostri computer ronzanti. Le valigie son sempre pronte e nuove e sempre di più- Qualcuno si spinge, era anche ora, a interrogarsi sul cielo e chi starebbe lassù a proteggervi o aspettarvi. Un pensiero debole diciamo. Anche l’omino curvo e zampettante, che ogni tanto si affaccia sulla grande piazza vuota a benedire non si sa bene a che scopo, visti i risultati. Mi intrufolo magari nella sua testa a spiare cosa pensa davvero questo povero omino impotente. Qualche dubbio anche lui? Mi sbaglio? E nondimeno aumentano i cori lamentosi mentre srotolano modeste collane di grani, e si levano in alto le preghiere con un affanno che trasuda  panico e incerto controllo degli orifizi vari. L’aspetto che aumenta il vostro terrore ovviamente è la strage che opero sui vostri difensori in prima linea, quelli col camice che vorrebbero farmi fuori non aiutandovi a partire ma rallentando la partenza, almeno per quelli più giovani. Scusate ma fareste anche voi lo stesso. Mi danno un fastidio questi seccatori zelanti e i loro aiutanti miserabili, con quegli zoccoli e le inutili mascherine. In guerra quelli che vanno all’assalto al fronte, non al riparo della trincea, fanno una brutta fine, o no? E anche quelli nei laboratori, che si credono protetti, e lontani  dal fuoco, anche loro fra poco vedranno vedranno. In fine, solo un cenno allegro al premier dell’Isola superba, l’energumeno col parrucchino color carota, e il naso rosso di birra, quello che si vantava all’inizio della mia festa che loro erano una comunità garantita, adesso ha cambiato idea immagino, adesso che si è accorto anche lui che forse è arrivato il momento di controllare le partenze e di scegliere il guardaroba.

Avevo intenzione di avvicinarmi alla vecchia novantenne che costa un sacco di soldi al suo popolo che pure continua ad omaggiarla. L’hanno isolata in una sua augusta dimora, con pochi servitori privilegiati che assistono ai suoi momenti delicati, quando si svuota a fatica del poco che ormai riesce a inghiottire. Il marito, quasi centenario, relegato in un’altra ala, già colpito, basta una spintarella, ma è a lei che punto. O meglio che puntavo perché mi ha colpito l’omino bianco e zoppicante. Dimenticavo di dirvi che ieri costui dall’alto del suo balcone, e sempre davanti alla gran piazza che più deserta non si poteva, e pure sotto una pioggerella rabbrividente che gli ha inzuppato la coppola mentre si recava con un passo malcerto e un ridicolo ancheggiare verso il suo trono, ebbene costui ha impartito colla benedizione l’indulgenza plenaria. Ah, dimenticavo: alle sue spalle si notava la strana sagoma dell’uomo in perizoma, in testa una corona di spine, appeso ad una croce, immagine mi pare importante se l’omino bianco e tutti questi fedeli si inginocchiano e diventano seri. Da morir (ancora alla lettera)   dal ridere. Ma con questa indulgenza, significa se non sbaglio perché io colla teologia ci capisco poco che tutti sono perdonati nei loro peccati anche i più perversi. E tornano innocenti, come alla nascita, o meglio alla nascita a con quello originale che risalirebbe ai primi due progenitori, non ai miei amati pipistrelli, ma il primo uomo e la prima donna, da voi sono ancora generi ben separati vero?, o qualcosa di simile, quelli della mela rubata mi hanno raccontato ridendo di questa barzelletta da cui tutto dipenderebbe Ma che scemi. Comunque adesso  non solo quelli chiusi nei reparti ospedalieri, senza il conforto, già, sai che conforto, dei parenti, e già pronti per il camion e per il falò finale, ma tutti, tutti, indistintamente, quelli a casa che ancora si chiedono quando riaprono le scuole, le biblioteche, le palestre, le sala giochi, e non vogliono capire ovvio. Insomma tutti, dico tutti, sono come alleggeriti, e pronti per il gran viaggio. E se mai ci dovesse essere qualcuno alla porta in alto che decide dove smistarli, se in alto nella luce o in basso col buio e i diavoletti (anche questo avete immaginato, che fantasia avete ragazzi! ma quando mai?), nessuno rischia più di essere precipitato tra i forconi e i draghi e le bestie feroci, o cose simili. Che noia! Che noia davvero!

Ogni tanto mi porto avanti il lavoro, grazie a aiutanti improvvisati. Ci sono focolai di rivolta infatti specie al Sud, dove ancora del resto non mi sono/siamo impegnato/a/i/e. Sì, cominciano primi episodi di violenza davanti ai supermercati, e su covano progetti di assalto e di esproprio. Ottimo, ragazzi! Ma fatelo davvero, non siate parolai per favore. E che ci vorrai mai? Non potranno mica dislocare poliziotti davanti ad ogni negozio, o mi sbaglio?  Se poi c’è una cosa che mi esaspera, mi correggo: mi diverte molto, è quando vi sento lamentarvi. Cime faccio a sentirvi? Mi chiedete sentirvi come? Basta guardarmi i petali della rosa, in quei binocoli o come cavolo si chiamano nei vostri inutili laboratori di guerra, quando provate a ingrandirmi. Ebbene, li muovo appunto per deliziarmi dei vostri buffi ragionamenti lamentosi. Tutto un Avrei potuto, oppure proprio adesso che potevo, o anche che sfiga non ci voleva, e poi la lista dei soldi spesi inutilmente, gli abbonamenti al concerto, la caparra per il viaggio e l’albergo, e certe urla specie da quello che da voi è il genere femminile, le creature colle bocce su petto e il buchino davanti, visto in queste settimane negli ospedali. Sì, costoro gridano che non ci sarà alcun rimborso per via dell’emergenza. Soldi buttati in cesso aggiungono. E che rabbia qua, che ladri là. E le voci più aspre, vengono dalle creature senza bocce sul petto e il pendolo tra e gambe, aggiungono “Vedrai vedrai ai nostri risparmi cosa faranno tra poco!” Mi verrebbe voglia di spiegarvi una volta per tutte che non avete capito che ormai dovreste pensare solo a fare i bagagli, che è inutile rimpiangere la vacanza saltata, il concerto annullato, il libro non pubblicato. Siete in marcia, abituatevi a salutare, fatelo da ora, mandate un bel congedo col vostro ticchettio su quei tasti che fan venire  il mal di testa. Tutto il giorno, tutta la notte. Ma che avrete mai da scrivere? Sciocchezze mi immagino, solo stupidaggini. Perdita di tempo, invece di pensare alle cose importanti. Cioè alla vostra fine.

L’impressione oggi è forte, ragazzi, ditemi se esagero. Che comincio a stancarvi con queste mie noterelle quotidiane, col diario del killer se posso esprimermi così. Io vorrei solo fare della sana controinformazione, rispetto ai falsi annunci serali, colle cifre della giornata e coi grafici, le proiezioni tutto teso a farvi tornare nella vostra camera da letto col cuore in pace e aperto ad una folle speranza. Sconsiglio caldamente di tenervi la scatoletta nella camera dei sogni. Rischiate di addormentarvi tardi tra le immagini di corsie d’ospedale e di ventilatori e di volti sia pur schermati che trasudano terrore. Ma lo scopo vero di queste mie conversazioni garbate, in fondo, o no?, no non per cortesia se credete dite pure la vostra, garbate perché e qui vengo appunto alla mia strategia, è quella appunto di prepararvi a fare i bagagli, con dolcezza, assicurandovi che rispetto all’orrore di adesso o meglio all’orrore di sempre, insomma alla vostra vita questa partenza in fondo vi fa solo che bene. Avviamento al congedo dal mondo, questo potrebbe intitolarsi la mia trasmissione, a usare il vostro gergo. Ci fosse una scatoletta libera di accogliermi, se mi facessero parlare là, sarebbe forse più semplice. Dite che a volte sono perfido/a/i/e, che mi accanisco con sadismo? Può essere, sì certo che è così, ma intanto nessuno è perfetto/a/i/e e poi ve lo giuro su mama e papi che svolazzano felici nelle loro caverne e anche fuori ormai liberamente, io la cattiveria ce la metto solo colle teste incoronate o su chi sta in alto negli scanni e nelle stanze del potere. Cogli altri, cogli anonimi faccio più in fretta che posso. E un po’ i dispiace. Ma è come in guerra. Si lancia dall’alto una bella bomba e l’obiettivo è una fabbrica, ed è chiaro che ci vanno di mezzo le case vicine. Ma quando vedo figli che piangono perché non possono nemmeno salutare i loro vecchi, o peggio genitori che si sbracciano e urlano perché gli portano via le loro creature (ma questo datemene atto avviene di rado per ora), ecco là cerco di non guardare. Se vedeste i miei petali setolosi colorati come si tendono all’aria nei vostri laboratori. I vostri inutili ricercatori si interrogano su questi strani guizzi e buffe torsioni, è l’emozione per il distacco. Ce l’ho anche spiegato alla Centrale che ci coordina. Facciamolo tutto in una volta. Invece no, non si può. Gradualità, ci vuole gradualità. Ma col potere, lo ammetto, sono perfido/a/i/e e allora li faccio anche guarire ogni tanto, come il segretario senza capelli alla testa di un partito importante legato in passato ai lavoratori, o la Presidente di non so cosa ma un ruolo importante colla sua bella toga durante le riunioni, perché dirige i giudici credo, o il PRINCIPE!, giuro, il figlio della vecchia babbiona nell’isola piovosa e sempre fredda (ottimo clima per me), là in alto, la vecchiaccia che ama i cavalli. “Siamo guariti, abbiamo i tamponi negativi”, ripetono euforici. Qua davvero mi viene da piangere dal ridere. Siamo guariti! Che ci vuole proprio coraggio. Questa non è un’occupazione momentanea, ragazzi, questa è la fine. Semplice. Ma laggiù nei loro antri scientifici  dove penano giorno e notte sognando il Nobel solo qualcuno tra loro si avvicina all’ipotesi nera ma subito la caccia via e continua a maneggiare provette fumanti e accendere grandi schermi alle pareti, o a alimentare macchinari astrusi che ruotano su se stessi. Tutto inutile. Preparatevi anche voi, cari i miei tecnici. Siamo tati, siamo infiniti, siamo un esercito indistruttibile. Abbiamo imparato dai nostri antenati. Non ce ne andiamo via fino a che l’ultimo degli umani non s’è messo in viaggio. Altro che caldo, estate o al massimo autunno. Vedrete, vedrete. Ma se anche lo capissero bene, chi avrebbe il coraggio di dirlo dalla scatoletta? Dire: “Su da bravi, aprite questi benedetti armadi e scegliete un guardaroba adatto. Essenziale. Mi raccomando”. Non lo direbbero mai, questi ipocriti. Dai, dai, chiamate l’omino bianco, o quello che geme dal minareto, e state tutti la testa a terra e il popò per aria, e le scarpe fuori dalla stanza, sai che fetori, o quegli altri coi libri astrusi e le candele con sette braccia e le lingue antiche. Insomma, queste tre follie che vedono il cielo, che è vuoto, vuoto del tutto, con un solo boss che deciderebbe tutto. E siete capaci di massacrarvi tra di voi per questo Padre unico. Sarete stupidi? Bambini violenti e maleducati. Questo siete. Sì, mi avete stufato anche. Io sto qua a perdere il tempo a essere gentile con voi. Mi accusate di essere un assassino/a/i/e e voi per queste zuffe da condominio, vi siete massacrati, bruciati, torturati, gasati, etcetera,  con un gusto, ma con un gusto per millenni. E dopo vengono a dirlo a me. Ma guarda un po’ che coraggio!

 

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