La recita interrotta (rec. su L’immaginazione)

M. Antonietta Grignani, recensione a Paolo Puppa, La recita interrotta. Pirandello: la trilogia del teatro nel teatro, Bulzoni, Roma 2021, euro 19.

E’ proprio vero che un classico è un autore che non finisce mai di dire quello che ha da dire e in questo libro Paolo Puppa, noto esperto del teatro pirandelliano, lo dimostra, sia nella persona di Pirandello sia nella propria di critico affezionato. Scritto nell’anno 2020 in piena pandemia e chiusura delle biblioteche, lo studio rappresenta la riflessione dello specialista a ridosso del centenario della prima dei Sei personaggi in cerca d’autore al teatro Valle di Roma (9 maggio 1921), che scatenò al momento un putiferio di reazioni negative e di pesanti malintesi, ma fu destinato ben presto a diventare il titolo-simbolo della ‘rivoluzione’ pirandelliana a livello internazionale. Nel prologo Puppa nota una curiosa analogia tra la situazione della scena, prima che irrompano i sei personaggi (un teatro vuoto, una compagnia teatrale «disunita e mestierante», un capocomico che tenta di mettere in prova Il giuoco delle parti, cioè un testo di Pirandello stesso), tra tale situazione e il blocco di produzione nel contatto vivo con il pubblico che il confinamento della pandemia ha protratto per più di un anno non solo in Italia.  Osserva un po’ malinconicamente nella chiusa della premessa, a distanza di molti decenni dal primo suo libro sul teatro pirandelliano, che risale infatti al 1978: «Un’energia ancora in movimento, che trascina con sé detriti, scorie come gli stereotipi fastidiosi del pirandellismo, ma anche pietre preziose ad arricchire la scena futura. Se ci sarà futuro».

Corredato da note bibliografiche aggiornatissime, il lavoro prende in carico nell’ordine cronologico gli elementi della cosiddetta trilogia del teatro nel teatro, ma intesse incroci puntuali e continui con spunti e temi frequentati altrove da Pirandello, nella narrativa, nelle riflessioni critiche e perfino in alcuni trattamenti cinematografici. Per i Sei personaggi si ricordano lo scenario scritto senza esito di realizzazione con Adolf Lantz, che, diversamente dalla pièce teatrale, ruotava intorno alla figura dell’Autore alla scrivania assediato dai personaggi; ancora prima la novella Quand’ero matto e i Colloqui coi personaggi. L’analisi della materia scabrosa legata a un potenziale incesto e al macrotema “la famiglia che uccide” è sottile, attenta alle varianti che furono introdotte nelle successive edizioni, sempre verificata su passaggi precisi del testo. Altro pregio del discorso di Puppa è l’attenzione alle rappresentazioni, per esempio quella del 1925 con interprete nella veste della Figliastra proprio la Musa dell’anziano commediografo Marta Abba, che era coetanea della figlia di Pirandello Lietta, andata in Cile con il marito Manuel Aguirre, per la quale il padre nutriva un «sentimento trasparente di siciliana gelosia». Con delicatezza e senza oltranze interpretative Puppa mostra in quali forme si realizzi la demonizzazione della famiglia tra il sottofondo biografico e il gioco dell’arte.

Per Ciascuno a suo modo, ripresa in chiave metateatrale di temi drammatici o meglio melodrammatici di Si gira … (intitolato poi Quaderni di Serafino Gubbio operatore), il suicidio dell’artista e le altre figure che ruotano intorno al triangolo, al fattaccio di cronaca e di chi ci ragiona intorno, sono in realtà pretesto per esibire in scena – ma anche mettere in forse – la duplicazione teatrale e quindi intrigare la ricezione, ponendo a soqquadro la scena che sfonda la quarta parete. Anche qui Puppa lavora tra rinvii di intertestualità interna, echi di cronaca nera a sfondo giornalistico che potrebbero avere influenzato Pirandello, sollecitazioni di tipi alla moda come la figura della vamp nevrotica e distruttrice di partner maschili per ribadire, al di là delle infinite variazioni, «la scoperta improvvisa da parte dell’io, nello sguardo dell’interlocutore, di essere diverso da come il primo si immagina». La storia delle rappresentazioni, la prima del maggio 1924 ai Filodrammatici di Milano e quella parigina del 1926 nella traduzione di Benjamin Crémieux, ripercorre entusiasmi e incomprensioni che all’inizio caratterizzano l’accoglimento delle innovazioni pirandelliane.

L’azione scenica espansa negli sconfinamenti fuori dal palco torna in Questa sera si recita a soggetto, altra pièce studiatissima dalla critica, riportata da Paolo Puppa alle sue dimensioni storiche e di contesto, comprese le varie rappresentazioni più o meno turbolente e gli aggiornamenti bibliografici. La drammaturgia confezionata per il sistema tedesco, la macchina scenica fitta e destabilizzante, il riassorbimento della novella Leonora, addio!, l’orrore di una passione malsana ossia l’inferno di coppia, il cruccio sulla centralità dell’Autore, tutto amplifica temi e modi messi all’opera nei due precedenti drammi.

Insomma, il ritorno di un noto storico del teatro (a sua volta autore) va festeggiato nella coerenza di una intera carriera di specialista e nella perdurante attualità di un classico del Novecento.