Andrea o i vetri in testa (pubblicato su Ytali)

I rapporti col mio vicino di casa Andrea Naccari non sono stati esaltanti all’inizio. Appena arrivato nel nostro caseggiato, se si può chiamare così un palazzo storico del Quattrocento, dall’ultimo piano dove si era insediato con moglie e inizio di figliolanza costui si è manifestato lasciando aperta, durante i lavori di ripristino del suo appartamento, una finestra della cucina. E di notte, grazie a una bufera di vento, il vetro s’è schiantato precipitando come un meteorite in basso, nel mio terrazzo di sotto, e più giù in giardino, seminando frammenti nelle aiuole, con mia moglie avvilita per le sue amate pianticelle. Ma noi tutti, stando a piano terra e al primo piano, abbiamo rischiato di brutto. Quella volta, abbiamo sfiorato persino una causa. Risultato, per fortuna sotto l’egida di un giudice di pace, una conciliazione con piccolo risarcimento e l’offerta da parte del giovane Andrea, allora poco più che trentenne, di una deliziosa bottiglietta di vetro, fatta colle sue mani di vetraio dotato, e già apprezzato in giro. Davvero un paradosso, un vetraio che rischia di ucciderti colla sua materia per sbadataggine, come un medico chirurgo che ti inciampi addosso col suo bisturi. “Superior stabat lupus”, sentenziava Fedro nella sua favoletta a tal proposito. [continua a leggere su Ytali]

La recita interrotta (presentazione a Bologna)

Nel centenario della prima dei Sei personaggi in cerca d’autore,
presentazione del volume
Paolo Puppa, La recita interrotta: La trilogia del teatro nel teatro, Bulzoni 2021.
Presenti assieme all’autore, Giuseppe Liotta (Bologna). Interventi a distanza di Ilona Fried (Budapest) e di Pietro Milone (Roma). Coordina Gerardo Guccini.
Al termine, performance del monologo
Dalla parte del figlio. Libera versione dai Sei personaggi,
di e con Paolo Puppa
L’incontro si svolgerà Lunedì 28 marzo 2022
Aula Berti (Viale Carlo Berti Pichat 6, 40127 Bologna)
nell’ambito delle Lezioni di Drammaturgia
Tenute dal Prof. Gerardo Guccini

Teatro della pandemia (rec, di Alfredo Sgroi su Mangialibri)

Si fa corpo e verbo un poco delirante, il Covid, nel primo dramma (Non rinuncio a te per un pipistrello). E impietosamente scava nelle ossessioni degradanti di un’umanità allo sbando. Frastornata dall’esplosione dell’epidemia, ma già ben prima infetta nell’anima dal morbo del nichilismo. Obiettivo prioritario del virus monologante è quello di far rinsavire gli uomini, e ricordare loro che il gioco della vita sta per finire. Per tutti: sovrani, capi di governo, gente comune. Inutili il confinamento o l’insensato aggrapparsi alle vecchie futilità… [si invita a proseguire la lettura su Mangialibri]

Teatro della Pandemia (uno speciale su Visioni del tragico)

Premessa

Il Diario del virus, del tutto inedito, è un monologo  uscito dalla mia penna nel 2020, durante il lockdown governativo.

Nasce nei mesi degli inevitabili arresti domiciliari, allorché il presidente dell’Ateneo Veneto, una delle più gloriose Istituzioni culturali veneziane,  ha lanciato una call con cui chiedeva di raccontare la pandemia con un contributo personale. Essendo esperto di mostri, sia come drammaturgo performer, vedi le recenti raccolte di Cronache venete e Altre scene, dove calavo miti antichi nel Nord Est di oggi in piena crisi economica e culturale, che come studioso, (tra i miei ultimi studi, interventi su  J. R. Wilcock e i suoi freaks), ho creato quasi al volo un soliloquio grottesco.  Di solito, come ricordava Walter Benjamin, i  bambini giocano al lupo per vincerne la paura. Essere il lupo per non farsi mangiare dallo stesso. Io, appartenendo alla fascia anagrafica destinata secondo le previsioni scientifiche ad essere tra le prime a cadere sul campo,  ho provato a cavalcare il panico e ho scritto questo capriccio per esorcizzarla. L’ho pure recitato nel mio studio, in mezzo ai miei libri, filmandolo col telefonino. In attesa di poter uscire a cercare pubblico, curioso della reazione. [continua la lettura su VisioniDelTragico]

Non rinuncio a te per un pipistrello (Ovvero diario del virus) di Paolo Puppa

NON RINUNCIO A TE PER UN PIPISTRELLO

OVVERO DIARIO DEL VIRUS

di Paolo Puppa

 

 

 

Ehi voi. Gente, Ehi sììì. dico a voi. Son proprio contento/con­tenta/contenti. Sìììì, perché ieri ho visto la paura addosso alla moglie del canadese, già, del Presidente. E poi in un grande albergo a cinque stelle australiano ho spiato il terrore sul muso invecchiato e senza trucco  dell’attore americano famoso, ma sì, quello che faceva lo scemo, quello che correva sempre. Io per i nomi sono un disastro. E anche su sua moglie. Un metro di distanza e lavatevi le mani raccomandano i prof di medicina. Che ridere. Marito e moglie che fanno in una stanza d’albergo, anche se hanno poca voglia dopo tanti anni? I piccioncini. Eh, eh, e adesso ve la fate sotto, o no? Non guardo in faccia a nessuno, io.  E poi quello che mi esalta è il fatto che il sottoscritto/a/i mi sposto dal Canada all’Australia e senza faticare. Pensano a  tutto loro. Sono loro che mi portano. Uno scaracchio, un fiato, una monetina di resto, un carciofo al mercato toccato senza guanto. E questo è solo l’inizio, ragazzi. Vedrete, vedrete fra poco. Che meravigliaaaaaa, le strade vuote! E questo silenzio così serio! Ci sono solo io ormai a dettar legge. Non fanno che parlare di me a sproposito. E più sono famosi e sicuri di sé, più ci ho gusto. Mi spiace un po’ per i vecchi. Non c’è gusto con loro. Sono già predisposti. Colle valigie pronte. No, no, vorrei poterli evitare. Ma come si fa? Basta un niente e quelli mi cascano subito. Potessi decidere, però, i capelli bianchi, le dentiere, e il resto, starei alla larga da questa povera gente. E invece mi aprono, che dico aprono, mi spalancano la porta di casa. Vorrei spiegare loro che punto più in alto,  io. Voglio capi, io, voglio  corone, ah, ah! Bella questa battuta, no? Ho una lista, ma una lista. Vedrete, vedrete, cari miei. Che roba, che roba! E tutte le sere poi mi citano e parlano di me, di me. E danno i numeri, eh, eh. La curva. Il picco? Quando il picco? Hai voglia! Non ho nessuna intenzione di arrivare presto al picco io. Mi spalmo, mi spalmo, mi allungo. Vedrete, vedrete. Dalla caverna col piccolo pipistrello, alla cucina dello chef cinese, e poi il commerciante lombardo, o era veneto? Non mi ricordo più bene. Confini aperti, no chiusi, sbarrati, grandi stadi con o senza pubblico?  Cambiano idea più volte, che buffi! Ma ho cominciato a muovermi, e non c’è niente da fare. Ci sarebbe una maniera per fermarmi, una sola. Ma non sta nei laboratori, mica vengo a dirvela a voi. Manco per scherzo.

Il momento più divertente, credetemi, è la sera quando vi riunite davanti alle scatolette che mandano luce, il piccolo schermo che sembra l’altare dove pregate sempre più spesso da qualche giorno, eh, eh. Vi comunicano infatti i numeri in modo così serio che mi metto subito a sghignazzare. Voi ve ne state in silenzio religioso, la mammina col mestolo in alto, e il piatto fumante nell’altra mano, i bambini che non capiscono la ragione di quel rallentamento, il pappino colle rughe sulla fronte che zittisce i pargoli. Sembrate davvero come nelle case col soffitto alto che chiamate chiese. E vi trasmettono pure le curve colla proiezione. E gongolate, ma che cretini, se l’aumento in qualche città rallenta. Ma a me piace cambiare, ragazzi. Il fatto è che mi stanco presto a starmene nello stesso posto. Tutto qua. Nessuna logica, nessun ordine. Per carità. Ci mancherebbe altro. State diventando all’improvviso più buoni. Non vi odiate più. Uniti contro di me. Che bello! Che eccitante. Fate fate. Prego. Fate pure. Accomodatevi. Nessun problema per me. Tranquilli. Una cosa mi sorprende molto. Devo dirvelo. Il vostro cattivo rapporto col tempo. Non sapete vederlo nel suo insieme, il tempo. Mi spiego. E’ solo questione di attesa. Anche se qualcuno di voi la fa franca, al momento, perché decido di lasciarlo, perché fingo di cedere ad una pulizia più sistematica nella sua abitazione, o a una mascherina meglio sistemata sul muso, questo chiamiamolo pure scampato alla mia strage tra qualche anno dovrà sempre andarsene coi suoi stracci. Cosa cambia tra adesso o fra dieci anni? Eh? Eh? Un’alternativa a me che avrebbe senso sarebbe solo l’eternità. Che non esiste! O no? Chiaro?  Si parteeee, ragazzi! Tutti a bordo! Continua a leggere

Alberto Moravia e gli scrittori ebrei romani (Roma 14/15 novembre)

Obiettivi scientifici Alberto Moravia era di padre ebreo e di madre cattolica ma crebbe in un ambiente laico. Lui stesso anche da adulto mantenne una netta distanza dalle questioni religiose, tant’è che in «Moravia non si trova traccia di autocoscienza ebraica» (Berardinelli 2015). Tale esibito disinteresse è riscontrabile anche nella sua vasta produzione letteraria e saggistica. In ciò essa si distingue dalle opere di altri ebrei romani i quali, spiritualmente o intellettualmente orientati verso il ghetto, dedicarono le loro più belle pagine alla storia del proprio gruppo etnico e all’episodio peggiore della Shoah in Italia: si pensi a Giacoma Limentani e Lia Levi, ma anche a Elio Toaff e a Giacomo Debenedetti. Inoltre, nel dopoguerra Moravia non condivise i dubbi e le perplessità di coloro che soffrirono – in quanto non halachici – d’un’identità non riconosciuta dai loro prossimi, com’è, per esempio, per Piperno e, in un certo senso, per Antonio Debenedetti. L’obiettivo di questo convegno è quello d’indagare se in Moravia l’assenza di tematiche o di personaggi spicca-tamente ebrei sia stata una negligenza, indifferenza, una forma di assimilazione o sia stata invece parte d’una strategia di rimozione. I due giorni di studio desiderano inoltre essere l’occasione per tentare un accostamento ad altri scrittori attivi nella capitale, come Bassani e Morante; e di fare il punto sui lasciti estetici e morali della sua opera, in Italia e fuori. Gli atti del convegno saranno pubblicati nella collana «ICOJIL».

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Martedì 14 novembre ore 18,10: Performance teatrale Follie per una notte
di e con Paolo Puppa

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Mercoledì 15 novembre ore 9,30:  IV sessione: Moravia fra il teatro e le arti
presiede Nevin Özkan

Alessandra Grandelis, Università degli Studi di Padova
Scrissi d’arte. Appunti su Moravia e le arti visive

Paolo Puppa, Università Ca’ Foscari Venezia
Moravia e il teatro

Valeria Merola, Università di Macerata
La ricerca del tragico: Il dio Kurt

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Informazioni:

http://www.uu.nl/bachelors/italiaanse-taal-en-cultuur
http://www.knir.it
http://www.museoebraico.roma.it http://www.romaebraica.it

Ca’ Foscari dei dolori – presentazione

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Venerdì 1 aprile 2016

H 21 |  La conigliera, Castelminio di Resana (TV)

 

Presentazione del libro

Ca’ Foscari dei dolori

(Corazzano, Titivillus, 2014)

 

Presentazione e lettura: Paolo Puppa
Arpa celtica: Sara Girardello

 

L’autore recita alcuni brani del suo ultimo romanzo.

Ca’ Foscari dei dolori è l’ipotiposi del mondo universitario italiano. I baronati, il bluff dei concorsi, le affiliazioni, le vendette trasversali, la compravendita degli esami, le cortigianerie. Prassi comuni. Però nessuno osa descriverle. Ambientare la storia a Venezia, dove Puppa, ordinario di storia del teatro e drammaturgo insegna, dà a queste logiche l’aria di una farsa, gli Atenei del Bel Paese divenuti un carnevale, trucco e alternanza di maschere.

Un romanzo lucido e inclemente nello spiegare le relazioni accademiche e sociali.

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=Urt4R3fFSOg

 

 

Ingresso € 6

Tessera € 4

info@anagoor.com

Ca’ Foscari dei dolori (recensione su Scenari)

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Recensione di Tiziana Migliore

 

Lo scorcio di un uomo, specchio di un sistema. Che immagini sa fare la scrittura! Certo le rappresentazioni sono meno lampanti che nei linguaggi visivi. Ma se si tratta di rendere scenari, immaginari o immaginative, la prosa, con l’elasticità del discorso, anafore e catafore, riesce meglio della pittura, del cinema e del teatro. Mette sotto gli occhi flussi del pensiero e corsi delle cose, senza darli a vedere. Domenica 29 novembre, al teatro Massimo di Palermo, Paolo Puppa recita alcuni brani del suo ultimo romanzo, Ca’ Foscari dei dolori. È l’ipotiposi del mondo universitario italiano. I baronati, il bluff dei concorsi, le affiliazioni, le vendette trasversali, la compravendita degli esami, le cortigianerie. Prassi comuni. Però nessuno osa descriverle. Ambientare la storia a Venezia, dove Puppa, ordinario di storia del teatro e drammaturgo insegna, dà a queste logiche l’aria di una farsa, gli Atenei del Bel Paese divenuti un carnevale, trucco e alternanza di maschere. Ma sono costumi invalsi in Italia dalla fine degli anni Settanta, quando il fallimento nella militanza collettiva per l’uguaglianza, contro il perbenismo e lo sfruttamento, si è tradotto nella pretesa di inviolabili privilegi, nell’attecchire di biechi moralismi e in un’individualità cinica. La “lotta armata” alla rovescia: violenza non armata, ferocia, di cui paghiamo le conseguenze, in politica, nella finanza, nel diritto, nella sanità, all’Università. Colpa dell’ideologia? No. Gran parte dei sessantottini più giovani aderì al movimento per moda, per i propri piaceri, non per credo. Non ha combattuto per un ideale, ne ha solo sentito l’odore. The Dreamers (2003) di Bernardo Bertolucci non lascia adito a dubbi. [Continua a leggere su Scenari